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Letteratura Italiana di Scienze Infermieristiche

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Castiglioni Micaela. Per una formazione che insegni a sostare nell’esperienza di formazione e di cura. Tutor 2018;18(3):37–38. 
Added by: Manuela Peluso (19/07/2023, 15:05)   Last edited by: Manuela Peluso (30/07/2023, 14:31)
Resource type: Journal Article
BibTeX citation key: Castiglioni2018
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Categories: Scienze della formazione
Subcategories: Obiettivi di apprendimento
Creators: Castiglioni
Publisher:
Collection: Tutor
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Abstract

(Trascritto dall’articolo).
Ci ricorda Heidegger in Essere e Tempo come “l’esistere autentico abbia sempre tempo a disposizione”, “poiché il tempo è orientato dal sé” che in questo modo trova e mantiene il proprio senso – in una reciprocità di rinvio – “non perdendo il significato e pertanto non smarrendosi nell’accelerazione del tempo frammentato” e segmentato in una “successione continua di eventi” e di esperienze che non ci permettono di avere esperienza come, direbbe Jedwloski, riprendendo, a sua volta, Benjamin1. Non è sicuramente l’esperienza del “tempo a disposizione”, della “pienezza del tempo” situata anche nell’”attimo” come manifestazione della “presenza” e dell’”attenzione”, ossia, del “ci sono” fenomenologico”, quella che fanno i curanti e i loro pazienti nei reparti delle nostre aziende ospedaliere, e quella che fanno i futuri medici o infermieri, nonché i professionisti della cura già in servizio, rispettivamente all’interno della formazione di base o di quella continua. Sia la formazione universitaria sia quella in servizio sono infatti eccessivamente lontane dal “sostare” “presso le cose”, per dirla sempre con Heidegger. Nel nostro caso, si tratta dell’esperienza di formazione dei curanti e di cura dei pazienti. Ma per abitare l’esperienza è necessario “un fermo” (Byung-Chul Han, 2017, p.84), una pausa, un’interpunzione nella successione frenetica degli eventi, ossia, nell’accelerazione dell’agire di cura così come nell’eccesso di tecnicizzazione e di soli contenuti scientifico-disciplinari della formazione medica. Senza “fermo” che conferisce continuità e “solidità” all’esperienza temporale, al sé, all’esperienza che ognuno di noi fa di sé e di sé in relazione alla cosa e all’altro, l’esperienza stessa e il sé stesso precipitano, smarriscono se, non perfino, perdono il significato. E sappiamo bene come la perdita di senso sia all’origine del disagio adulto, in particolare, degli adulti che svolgono un lavoro di cura. A questo punto, è inevitabile il riferimento al paradigma formativo narrativo-autobiografico e autoriflessivo che poggia su quel “fermati e pensa” di Arendt. La pausa è una pausa dell’agire e nell’agire, è un’interrogazione rivolta alla routinarietà frettolosa del pensiero e della pratica che rischia di non far parlare e di non ascoltare l’accadere singolare, specifico e puntuale dell’esperienza di malattia e di cura. Di qui, la necessità di una formazione che rivaluti la pausa premessa indispensabile al pensare, non sempre e solo subito operativo e protocollato. Dentro questo dispositivo formativo, le dimensioni temporali dell’”esitazione” e dell’”attesa”, così come, la postura della “pazienza”, non hanno una cifra negativa, “[…] ma al contrario, hanno il compito di fondare una relazione positiva con ciò che si sottrae a ogni presente disponibile” (Byung-Chul Han, 2017, p.87). Più nello specifico, “[…], l’attesa […], designa il rapporto con ciò che si sottrae a ogni forma di calcolo. Anche l’esitazione non significa indecisione, ma è un rapporto con ciò che si sottrae a ogni presa risoluta […].” (Ibidem). Fare posto a questo tempo e assumere la postura della pazienza significa per i curanti e per quanti si occupano della formazione dei futuri professionisti della cura assumere un’opzione epistemologico scientifica, operativa e procedurale, di tipo soft. Ci chiediamo, a questo punto, se sia realisticamente ipotizzabile una formazione di questo tipo che possa incidere sul tempo organizzativo nei luoghi di cura. La nostra risposta è affermativa, ovviamente consapevoli che ciò implichi un profondo e radicale mutamento di forma mentis a più livelli, tra i quali sicuramente quello politico istituzionale dentro un più ampio e profondo ripensamento del progetto societario di salute, di benessere e di cura. Del resto, la cura non può non avere una valenza etico-politica come ci ricorda Mortari (2015).

 


  
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